Australia, Top End: luoghi da visitare, cose da fare
Il primo contatto con la natura del Northern Territory è a poca distanza da Darwin, cioè Howard Spring nature park. All'arrivo ci accoglie un'area ben curata, caratterizzata da un piccolo laghetto con tartarughe d'acqua, pesci, ibis e tante panche da picnic (arredamento che troveremo ovunque in giro per l'Australia). Se si giunge nelle primissime ore del mattino, l'atmosfera è particolare: il sole ancora basso all'orizzonte irradia ombre lunghissime, i tenui raggi solari pastellano la vegetazione mentre una leggera nebbiolina da evaporazione rende l'atmosfera quasi magica, in un silenzio che sarebbe assoluto se non fosse punteggiato dai richiami e canti di alcuni uccelli. Qualche ibis passeggia placidamente. Atmosfera che si respira anche all'interno della foresta "commentata" da piccoli cartelli disseminati lungo il sentiero pianeggiante e facilmente percorribile. Luogo rilassante e piacevole ma che offre poche occasioni di particolare coinvolgimento.
Tornati sulla Stuart, al successivo e vicino bivio svoltiamo per la Arnhem Highway per sostare al Didgeridoo Hut and Urrduddu Emu Farm, Si tratta di una costruzione nella quale è ospitata la vendita di articoli prodotti dai nativi: una ricca collezione di tele dipinte con rappresentazioni di vita aborigena e i noti nonchè variopinti strumenti musicali, i didgeridoo. dall'importante significato culturale per i nativi. Il didgeridoo (il cui suono avete ascoltato nel sottofondo musicale della home page dell'Australia) è ricavato da un ramo di eucalipto scavato dalle termiti; vengono scelti e raccolti quelli più dritti, puliti e tagliati nella giusta lunghezza (va ad influire sulla timbrica del suono) poi variamente decorati a mano, sempre dagli aborigeni. Il loro prezzo non è esattamente basso (per un oggetto originale si può andare anche a 300-400 e oltre dollari australiani), ma è un oggetto che esprime un valore particolare che va aldilà del normale souvenir. Poco a lato un serraglio (perchè è giusto chiamarlo così) dove invecchiano alcuni tristi emù. Diciamo che la sosta è utile per gli acquisti, considerato che qui sia le tele sia i didgeridoo sono rigorosamente originali, non certo per gli animali.
Ripresa la jeep, si prosegue fino alla deviazione per la Fogg Dam Conservation Reserve, una vasta area paludosa (completamente allagata in estate). Parcheggiato il mezzo, proseguiamo a piedi sulla stretta strada mentre ai due lati si estende la vasta zona paludosa. Gli uccelli si mantengono nelle zone centrali degli stagni, chiazzate da isolette erbose, così che gli avvistamenti per quanto interessanti non possono trasferire particolari emozioni. Alla fine del tracciato, una struttura metallica sopraelevata da terra per circa 6-7 metri ci consente una bella vista complessiva dell'area: bel panorama con il verde della vegetazione contrastato dal blu del cielo riflesso nell'acqua degli stagni, uccelli ovunque ma, per quanto si osservi con attenzione, non c'è traccia di coccodrilli (nonostante i numerosi cartelli di attenzione). Tornati alla jeep, ci prende la malaugurata idea di addentrarci nel primo dei tre sentieri, vicini al parcheggio, che avevamo intenzione di percorrere; dopo alcune decine di metri nugoli di insetti prima ci attorniano, ma sono solo fastidiose mosche, poi ci assalgono famelici: ora sono zanzare! Veloce dietrofront fino alla jeep, ma ciò non ci risparmia dall'arrivarci con un discreto numero di pruriginose botole sulla pelle. Lo spray anti zanzare e mosche è ancora sepolto chissà dove nelle valigie, quindi abbandoniamo con dispiacere l'idea di cercarlo: il tracciato si mostrava interessante, i tagli di luce nella foresta consentivano di apprezzare in modo particolare l'ambiente e il clima era sopportabile anche se l'umidità si faceva sentire, complice anche l'assenza di venti.
Andando oltre sulla Arnhem, ci fermiamo al Window on the Wetlands: costruzione eretta su una collinetta, punto panoramico sulla piana alluvionale dell'Adelaide River e luogo di illustrazione della storia geologica e aborigena locale. Interessante scoprire le abitudini della fauna e della popolazione con queste rappresentazioni statiche raccontate e ricostruzioni. Dopo questa prima infarinata di Wetlands ci fermiamo per la crociera sull'Adelaide River dove avremo modo di assistere ad uno spettacolo inconsueto: i placidi coccodrilli nuotano oziosi nelle acque limacciose ma, stuzzicati dal personale di bordo (a suon di bistecche appese ad una pertica) compiono balzi inaspettati fuori dall'acqua: si ergono anche di 1 metro, 1 metro e mezzo, per azzannare la carne, con uno scatto che lascia impressionati, non li si direbbe capaci di tanto.... Quando mancano la presa, sentiamo lo schiocco secco delle mascelle e un brivido corre lungo la schiena pensando alla forza che sprigiona quel rumore sinistro e di cosa sono capaci questi rettili. Rettili solo all'apparenza placidi: si tratta dei salties crocodiles, cioè quelli marini (ma che popolano anche le acque dolci), molto pericolosi per l'uomo.
E' ormai mezzodì, un lauto spuntino al punto di ristoro vicino all'imbarcadero e riprendiamo la strada per deviare, dopo circa un'ora di guida, ed addentrarci nel Mary River National Park. La stanchezza del viaggio intercontinentale (siamo arrivati la stessa mattina alle 4.20) comincia a farsi sentire, per questo dopo una breve sosta al Mary River Crossing optiamo per fermarci nell'area picnic del Rockhole a ristorarci, fra una partita a carte e l'altra, all'ombra della vegetazione guardando lo scorrere placido del Mary River. Il caldo (più che altro l'umidità) è reso sopportabile da una leggera brezza e il tempo scorre velocemente.
Ripresa la jeep, della quale oggi non abbiamo avuto occasione per apprezzarne le capacità, ci dirigiamo verso Jabiru, dove sosteremo per due notti e prima meta del nostro itinerario nel Top End. Poco prima della deviazione che ci porterà verso il villaggio, facciamo sosta al Mamukala Bird Observatory; è un osservatorio su palafitte ai bordi di una ampia zona paludosa alla quale si arriva con una piacevole passeggiata sopra alla vegetazione lacustre (ci sono passerelle rialzate) e dove avremmo dovuto osservare diverse specie di fauna: sarà stato perchè non era mattino presto, sarà stato perchè è inverno, comunque in acqua non c'era traccia alcuna di uccelli, a parte qualche papera australiana che pinnava oziosamente. Il lago è comunque molto vasto e probabilmente i pennuti erano accasati altrove.
Arriviamo a Jabiru che ormai è l'imbrunire, un pò stanchi ma catalizzati da queste primi contatti con il territorio e la natura, dal contrasto delle terre rosse con il verde della vegetazione ma anche con ampie zone annerite da recenti incendi; nella stagione secca, è abituale vedere queste vaste macchie annerite nelle quali solo apparentemente la vita floreale del sottobosco non sopravvive: alle prime piogge, infatti, questi piccoli tronchi e fusti germogliano con rinnovato vigore. L'alloggio scelto, il Kakadu Lodge and Caravan Park è ben indicato e ci si arriva agevolmente. E' un ampio e ben organizzato campeggio dotato di un buon numero di bungalow (dall'arredamento un pò spartano ma tutto sommato adeguato) con aria condizionata e tutti i servizi necessari, anche un minimarket.
Il tramonto di questa prima serata australiana è spettacolare, l'aria tersa come non siamo abituati a vedere, il cielo limpido di un blu cobalto si confonde con l'alone rosso del sole ormai al limite dell'orizzonte.
Si cena bene nel ristorante del lodge, situato all'aperto nel centro del camping e l'ambiente è piacevole. Ma andremo anche a letto presto non tanto per le fatiche della giornata quanto per i postumi, ancora da smaltire del recentissimo viaggio intercontinentale; c'è anche da considerare che la cena viene servita solo fino alle 20.30, poi la cambusa chiude, inoltre le possibilità di svago notturne sono nulle se si escludono le quattro chiacchiere sotto la luce delle stelle. Dobbiamo anche abituarci a ritmi australiani, alle 7 il sole è già vispo in cielo mentre il tramonto è attorno alle 18.30.
La mattina dopo imbocchiamo la strada che porta a sud, la Kakadu Highgway, e dopo esserci fermati al poco distante Bowali Visitor Centre (altro importante centro di apprendimento sulla vita, cultura ed abitudini dei nativi), la prima vera uscita è dedicata a Nourlagie, siamo a a meno di mezz'ora da Jabiru. Si tratta di una imponente formazione rocciosa dai diversi colori, rossastra, nera, a volte tendente quasi al bianco: un aspetto fra il misterioso e il tetro, con alcune pareti a picco ed altre coperte di vegetazione. C'è fresco e la zona, a parte un paio di camper, è completamente deserta; trovare il sentiero è quanto di più facile ci sia, essendo proprio alla fine della strada di accesso. Abbiamo impiegato un paio d'ore a percorrerlo interamente, prendendocela comoda e soffermandoci nei diversi siti di arte rupestre dove sono rappresentate scene di riti sacri tribali, di animali e di rituali di feste. Lascia stupiti vedere come, dopo tante migliaia di anni, i colori di queste rappresentazioni si siano conservati bene ma anche la meticolosità degli artisti preistorici nel dipingere le figure. Numerosi anche gli scorci di interesse fotografico e, nel tratto più elevato (nessuna difficoltà di salita), panoramico.
Poco distanti da questa formazione rocciosa, ci sono un paio di billabong, cioè pozze d'acqua pù o meno vaste residuate dal ritirarsi dei fiumi dopo le piene della stagione delle piogge,; il più interessante è Angbang Billabong che ci si presenta in uno scenario quasi idilliaco. Dopo un brevissimo tratto nella boscaglia. si apre una verde piana erbosa che scompare progressivamente nell'acqua, azzurra di cielo riflesso, mentre sullo sfondo una altura fa da cornice . Pappagalli bianchi a non finire, tanti altri uccelli oziosamente intenti a fare nulla. Un'isoletta al centro del billabong completa la piacevole vista. Abbiamo impiegato circa un'ora a percorrere il sentiero che gira tutto intorno al lago, alla ricerca (vana) dei coccodrilli segnalati dai numerosi cartelli, non fosse altro per evitare spiacevoli ..... discussioni. L'area picnic che - immancabilmente - si trova in queste situazioni è costellata da tracce di fuochi più o meno recenti: ma questi erano segno evidente di accampamenti a carattere culinario.
Oziamo per un pò, poi decidiamo di voltare la jeep direzione Ubirr, non prima di fermarci a dare un'occhiata alla cittadina di Jabiru. Proprio un'occhiata, in quanto abbiamo a che fare con un minuscolo centro abitato che conta meno di 2.000 anime, Dalle costruzioni, basse, ordinate e in ottime condizioni, dalle strade pulite e con curatissime aree verdi, si capisce chiaramente che c'è una grande cura della proprietà, propria e pubblica. Ci sono numerosi nativi in apparente (vorrei sperare così, ma la realtà è diversa) stato di indigenza lungo le strade, la cosa mette a disagio se si pensa che solo poco più di cento anni fa erano un popolo libero e felice. L'abitato non offre spunti di interesse. Considerato che è ancora abbastanza presto per l'incontro con l'affioramento roccioso di Ubirr (l'ideale è essere là al tramonto) proseguiamo per Oenpelli pur sapendo che è situata nell'Arnhem Land quindi non dovrebbe esserci consentito l'accesso.
Ciò che ci impedisce di arrivare nell'Arnhem Land non è il confine ma, ben prima, l'attraversamento dell'East Alligator River: il livello dell'acqua è alto, anche per la nostra jeep che non è munita di snorkel, mentre la strada anzichè essere su un ponte scende a seguire il letto del fiume. Alcuni pescatori tentano la sorte sulle opposte rive sperando in una fortunata pesca ma attenti a non avventurarsi in acqua: qui i coccodrilli ci sono veramente anche se all'apparenza tutto sembra normale e invitante! Ci sarebbe un bel sentiero che costeggia l'East Alligator ma un cartello avverte che è chiuso a causa dei danni provocati da un recente uragano. Torniamo quindi a Ubirr.
Andando oltre sulla Arnhem, ci fermiamo al Window on the Wetlands: costruzione eretta su una collinetta, punto panoramico sulla piana alluvionale dell'Adelaide River e luogo di illustrazione della storia geologica e aborigena locale. Interessante scoprire le abitudini della fauna e della popolazione con queste rappresentazioni statiche raccontate e ricostruzioni. Dopo questa prima infarinata di Wetlands ci fermiamo per la crociera sull'Adelaide River dove avremo modo di assistere ad uno spettacolo inconsueto: i placidi coccodrilli nuotano oziosi nelle acque limacciose ma, stuzzicati dal personale di bordo (a suon di bistecche appese ad una pertica) compiono balzi inaspettati fuori dall'acqua: si ergono anche di 1 metro, 1 metro e mezzo, per azzannare la carne, con uno scatto che lascia impressionati, non li si direbbe capaci di tanto.... Quando mancano la presa, sentiamo lo schiocco secco delle mascelle e un brivido corre lungo la schiena pensando alla forza che sprigiona quel rumore sinistro e di cosa sono capaci questi rettili. Rettili solo all'apparenza placidi: si tratta dei salties crocodiles, cioè quelli marini (ma che popolano anche le acque dolci), molto pericolosi per l'uomo.
E' ormai mezzodì, un lauto spuntino al punto di ristoro vicino all'imbarcadero e riprendiamo la strada per deviare, dopo circa un'ora di guida, ed addentrarci nel Mary River National Park. La stanchezza del viaggio intercontinentale (siamo arrivati la stessa mattina alle 4.20) comincia a farsi sentire, per questo dopo una breve sosta al Mary River Crossing optiamo per fermarci nell'area picnic del Rockhole a ristorarci, fra una partita a carte e l'altra, all'ombra della vegetazione guardando lo scorrere placido del Mary River. Il caldo (più che altro l'umidità) è reso sopportabile da una leggera brezza e il tempo scorre velocemente.
Ripresa la jeep, della quale oggi non abbiamo avuto occasione per apprezzarne le capacità, ci dirigiamo verso Jabiru, dove sosteremo per due notti e prima meta del nostro itinerario nel Top End. Poco prima della deviazione che ci porterà verso il villaggio, facciamo sosta al Mamukala Bird Observatory; è un osservatorio su palafitte ai bordi di una ampia zona paludosa alla quale si arriva con una piacevole passeggiata sopra alla vegetazione lacustre (ci sono passerelle rialzate) e dove avremmo dovuto osservare diverse specie di fauna: sarà stato perchè non era mattino presto, sarà stato perchè è inverno, comunque in acqua non c'era traccia alcuna di uccelli, a parte qualche papera australiana che pinnava oziosamente. Il lago è comunque molto vasto e probabilmente i pennuti erano accasati altrove.
Arriviamo a Jabiru che ormai è l'imbrunire, un pò stanchi ma catalizzati da queste primi contatti con il territorio e la natura, dal contrasto delle terre rosse con il verde della vegetazione ma anche con ampie zone annerite da recenti incendi; nella stagione secca, è abituale vedere queste vaste macchie annerite nelle quali solo apparentemente la vita floreale del sottobosco non sopravvive: alle prime piogge, infatti, questi piccoli tronchi e fusti germogliano con rinnovato vigore. L'alloggio scelto, il Kakadu Lodge and Caravan Park è ben indicato e ci si arriva agevolmente. E' un ampio e ben organizzato campeggio dotato di un buon numero di bungalow (dall'arredamento un pò spartano ma tutto sommato adeguato) con aria condizionata e tutti i servizi necessari, anche un minimarket.
Il tramonto di questa prima serata australiana è spettacolare, l'aria tersa come non siamo abituati a vedere, il cielo limpido di un blu cobalto si confonde con l'alone rosso del sole ormai al limite dell'orizzonte.
Si cena bene nel ristorante del lodge, situato all'aperto nel centro del camping e l'ambiente è piacevole. Ma andremo anche a letto presto non tanto per le fatiche della giornata quanto per i postumi, ancora da smaltire del recentissimo viaggio intercontinentale; c'è anche da considerare che la cena viene servita solo fino alle 20.30, poi la cambusa chiude, inoltre le possibilità di svago notturne sono nulle se si escludono le quattro chiacchiere sotto la luce delle stelle. Dobbiamo anche abituarci a ritmi australiani, alle 7 il sole è già vispo in cielo mentre il tramonto è attorno alle 18.30.
La mattina dopo imbocchiamo la strada che porta a sud, la Kakadu Highgway, e dopo esserci fermati al poco distante Bowali Visitor Centre (altro importante centro di apprendimento sulla vita, cultura ed abitudini dei nativi), la prima vera uscita è dedicata a Nourlagie, siamo a a meno di mezz'ora da Jabiru. Si tratta di una imponente formazione rocciosa dai diversi colori, rossastra, nera, a volte tendente quasi al bianco: un aspetto fra il misterioso e il tetro, con alcune pareti a picco ed altre coperte di vegetazione. C'è fresco e la zona, a parte un paio di camper, è completamente deserta; trovare il sentiero è quanto di più facile ci sia, essendo proprio alla fine della strada di accesso. Abbiamo impiegato un paio d'ore a percorrerlo interamente, prendendocela comoda e soffermandoci nei diversi siti di arte rupestre dove sono rappresentate scene di riti sacri tribali, di animali e di rituali di feste. Lascia stupiti vedere come, dopo tante migliaia di anni, i colori di queste rappresentazioni si siano conservati bene ma anche la meticolosità degli artisti preistorici nel dipingere le figure. Numerosi anche gli scorci di interesse fotografico e, nel tratto più elevato (nessuna difficoltà di salita), panoramico.
Poco distanti da questa formazione rocciosa, ci sono un paio di billabong, cioè pozze d'acqua pù o meno vaste residuate dal ritirarsi dei fiumi dopo le piene della stagione delle piogge,; il più interessante è Angbang Billabong che ci si presenta in uno scenario quasi idilliaco. Dopo un brevissimo tratto nella boscaglia. si apre una verde piana erbosa che scompare progressivamente nell'acqua, azzurra di cielo riflesso, mentre sullo sfondo una altura fa da cornice . Pappagalli bianchi a non finire, tanti altri uccelli oziosamente intenti a fare nulla. Un'isoletta al centro del billabong completa la piacevole vista. Abbiamo impiegato circa un'ora a percorrere il sentiero che gira tutto intorno al lago, alla ricerca (vana) dei coccodrilli segnalati dai numerosi cartelli, non fosse altro per evitare spiacevoli ..... discussioni. L'area picnic che - immancabilmente - si trova in queste situazioni è costellata da tracce di fuochi più o meno recenti: ma questi erano segno evidente di accampamenti a carattere culinario.
Oziamo per un pò, poi decidiamo di voltare la jeep direzione Ubirr, non prima di fermarci a dare un'occhiata alla cittadina di Jabiru. Proprio un'occhiata, in quanto abbiamo a che fare con un minuscolo centro abitato che conta meno di 2.000 anime, Dalle costruzioni, basse, ordinate e in ottime condizioni, dalle strade pulite e con curatissime aree verdi, si capisce chiaramente che c'è una grande cura della proprietà, propria e pubblica. Ci sono numerosi nativi in apparente (vorrei sperare così, ma la realtà è diversa) stato di indigenza lungo le strade, la cosa mette a disagio se si pensa che solo poco più di cento anni fa erano un popolo libero e felice. L'abitato non offre spunti di interesse. Considerato che è ancora abbastanza presto per l'incontro con l'affioramento roccioso di Ubirr (l'ideale è essere là al tramonto) proseguiamo per Oenpelli pur sapendo che è situata nell'Arnhem Land quindi non dovrebbe esserci consentito l'accesso.
Ciò che ci impedisce di arrivare nell'Arnhem Land non è il confine ma, ben prima, l'attraversamento dell'East Alligator River: il livello dell'acqua è alto, anche per la nostra jeep che non è munita di snorkel, mentre la strada anzichè essere su un ponte scende a seguire il letto del fiume. Alcuni pescatori tentano la sorte sulle opposte rive sperando in una fortunata pesca ma attenti a non avventurarsi in acqua: qui i coccodrilli ci sono veramente anche se all'apparenza tutto sembra normale e invitante! Ci sarebbe un bel sentiero che costeggia l'East Alligator ma un cartello avverte che è chiuso a causa dei danni provocati da un recente uragano. Torniamo quindi a Ubirr.
Il tramonto sul bush visto da Ubirr è un must che non deve mancare per chi si trova da queste parti. Dopo l'iniziale incertezza dovuta ad un vicinissimo incendio (al ritorno troveremo le fiamme lungo il bordo della strada) percorriamo in circa 30' il facile sentiero pianeggiante che porta a prendere contatto con pitture rupestri vecchie anche di 20.000 anni; sono necessari circa altri 30' di camminata non troppo impegnativa per salire al Nardab Lookout, un belvedere dal quale l'occhio spazia a 360° sul sottostante bush. Una vista impagabile: da una parte una vastissima piana verde punteggiata da billabong, dall'altra le ostiche alture dell'Arnhem dalle quali si elevano pennacchi di fumo, segnali inequivocabili di incendi in corso. Ci accomodiamo, saziandoci del panorama, in attesa del momento più magico. Il tramonto sul bush da questa posizione è veramente un'esperienza: i colori che si formano all'orizzonte, parzialmente offuscato da colonne di fumo arrossate dai raggi dell'ultimo sole, ed il riflesso nei billabong sono una immagine che nessuna fotocamera potrà mai riprendere con fedeltà.
E' quasi buio quando, fra folate di fumo acre e bush ardente a lato della strada, guidiamo con la preoccupazione di vedere la strada sbarrata dall'incendio (fatto che poi non avverrà) ma anche con attenzione (è anche l'ora in cui i wallabies e gli altri animali notturni escono dai loro rifugi, senza troppo riguardo per il nastro asfaltato) verso Jabiru. E' stata una giornata sicuramente appagante.
E' quasi buio quando, fra folate di fumo acre e bush ardente a lato della strada, guidiamo con la preoccupazione di vedere la strada sbarrata dall'incendio (fatto che poi non avverrà) ma anche con attenzione (è anche l'ora in cui i wallabies e gli altri animali notturni escono dai loro rifugi, senza troppo riguardo per il nastro asfaltato) verso Jabiru. E' stata una giornata sicuramente appagante.
Le vicine rive dello Yellow Water River e delle circostanti paludi sono la nostra meta successiva e ci accolgono per una breve passeggiata nei dintorni: ci sarebbe stata la possibilità di fare un'escursione in battello per apprezzare la fauna lacustre ma con due crociere già programmate (una effettuata sul Mary River, l'altra prevista per l'indomani al Katherine Gorge National Park), abbiamo optato per quelle che dovevano essere due scelte di riserva, da opzionare in caso di imprevisti in altri luoghi, che si sono rivelate alquanto azzeccate.
Così, non programmate nell'itinerario di base, ci dirigiamo prima a Barramundie Gorge, su una pista non agevole, poi a Gunlom Waterfalls creek.
Lasciata la Kakadu, si imbocca una pista di polverosa sabbia rossa che si srotola, senza eccessive difficoltà, nel bush mentre ai lati gli eucalipti, vegetazione tipica, punteggiano la piana. Ed è proprio lungo la pista che porta a Barramundie Gorge che vediamo decine e decine di giganteschi termitai, alti anche 5 metri! Alla fine della pista, non particolarmente impegnativa e con guado sabbioso, un sentiero facile si inoltra nella folta vegetazione costeggiando, a tratti, le placide acque di un rivolo. L'atmosfera è rilassante, numerosi scorci regalano momenti veramente magici, finchè arriviamo in uno squarcio di foresta dove un placido laghetto di acqua trasparentissima ci accoglie invitante: come rifiutare?
Lasciata a malincuore la piacevole oasi, ritorniamo sui nostri passi per dirigerci a Gunlom Waterfall creek. Per quanto sia ben più distante dalla Highway rispetto a Barramundie Gorge, il luogo è abbastanza affollato (significato: erano presenti forse una quindicina di persone!) e con alcune costruzioni. Dopo poche centinaia di metri a piedi, il sentiero sbocca su una spiaggetta (è tale perchè siamo in inverno) di sabbia che si cala in un laghetto di discrete dimensioni. C'è una folta vegetazione ai bordi, i canneti ed alcune palme fanno da cornice ad una tavola liscia e trasparente di acqua color smeraldo. A chiudere il lago, di fronte a noi, un possente sperone di roccia scura a strapiombo, solcato da due piccole cascatelle che escono dalla sommità, 50 metri più in alto, alimentando debolmente il lago. In estate deve essere uno spettacolo grandioso.
Ripresa la strada principale, sulla quale il traffico continua ad essere pressochè inesistente, si prosegue finchè si incrocia a Pine Creek la Stuart Highway, la grande arteria che collega nord e sud dell'Australia. Manca meno di un'ora per giungere a Katherine, che attraverseremo per dirigerci alla farm dove ci aspettano le camere prenotate (e dove arriveremo dopo il tramonto); siamo sulla strada che porta al Nitmiluk (Katherine Gorge) National Park, prossima meta programmata per l'indomani. E' una fattoria, 3 camere (ottimamente arredate) per gli ospiti e un grande prato recintato dove pascolano placidi alcuni asini, da cui il nome di Donkey Camp. Ambiente estremamente cordiale e famigliare, Peter e Julie (marito e moglie) si fanno in quattro per farci sentire a nostro agio; nell'ampio parco, sotto un cielo nero e limpido, punteggiato da stelle luminose, con 4 candele sul tavolo, chiudiamo la giornata facendo man bassa di un abbondante barbecue di carni e verdure varie preparato sul momento da Peter mentre Julie porta la torta: home made, ci tiene a dirlo, e si sente. Peccato fermarsi per una sola notte, gli ingredienti per un piacevole soggiorno c'erano tutti. Altamente consigliato per chi passa da queste parti.
Oggi siamo nuovamente in piedi alle 6.30. Dopo una ricca colazione ci avviamo - mentre Peter e Julie ci accompagnano con lo sguardo salutandoci - verso il Nitmiluk National Park per la crociera precedentemente prenotata per le 9 di mattino.
La crociera è un'esperienza veramente emozionante e spettacolare. Il battello risale lentamente la corrente del placido Katherine River, un fiume costretto fra alte e strette gole rocciose di colorazione rossastra a tratti coperte da piccole macchie di vegetazione abbarbicata alle rocce; qua è la spicchi di sabbia sono la meta di alcuni turisti che hanno preferito l'esperienza in canoa. Il capitano nonchè accompagnatore non tace un attimo, sicuramente sta descrivendo le origini e la natura di quelle formazioni rocciose ma vallo a capire........ Ad un certo punto si scende, si cammina su un sentiero lungo il Katherine river per circa 1 km per superare una serie di rocce che bloccano la navigazione e per poi risalire su un'altro battello e riprendere la navigazione. Ambiente molto rilassante, piacevole da vedere ed invitante per le nuotate se non fosse per i coccodrilli che - stando ai cartelli e ai locali - potrebbero esserci. Il ritorno non è di minor interesse; i luoghi sono i medesimi dell'andata ma complice la diversa 'illuminazione solare, le rocce assumono colori a volte più intensi, a volte più tenui; i giochi di luci, ombre e riflessi sull'acqua delle ripide pareti sembrano quasi dipinti da una mano sapiente anzi, lo sono: la mano della natura nei millenni di erosione.
Lasciamo l'imbarcazione e, percorso il breve tratto che ci separa da Katherine, riprendiamo la Stuart verso nord siamo diretti a Batchelor, in prossimità del Litchfield National Park. Si percorrono velocemente i 90 km che ci separano da Pine Creek e si va oltre, mentre sull'altra corsia qualche gigante della strada tira il suo lunghissimo carico in una lunga corsa forse verso il profondo sud: sono i famosi road train, motrici con 3, 4 a volte 5 rimorchi. Superarli non è facile, oltre alla necessaria visibilità occorre avere davanti un lungo tratto senza traffico in senso contrario in quanto vanno veloci e i sorpassi sono luuuuuunghi.
Ben presto lasceremo la Stuart Highway in quanto avevamo deciso di non fare tutto il tragitto sulla arteria più veloce e corta di percorrere la old Stuart, il tracciato originario prima che venisse costruita quello oggi esistente, che scorre sulle colline ad ovest e lungo la quale avevamo fissato due mete. Prendiamo quindi la scenic route (è così che viene chiamata la Old Stuart e se lo merita tutto) poco dopo Hayes Creek, con destinazione successiva Douglas Hot Spring Nature Park su una pista che attraversa una landa gialla, piatta e arida, dove la vegetazione predominante è la spiniflex (erba secca e filiforme) di cui vanno ghiotti i canguri che continuiamo a non vedere; in compenso ci sono mandrie di magre vacche al pascolo. La meta, abbandonata la jeep, la si raggiunge con quattro passi a piedi; è una zona particolare del Douglas River: la vegetazione e le lingue di sabbia fanno da argine a due bracci di acqua che si congiungono proprio in questo punto. Che c'è di così interessante da andarci? Beh, in un ramo scorre acqua talmente calda che quasi non si riesce a tenere i piedi a mollo, mentre nell'altro braccio l'acqua è gelida! Alquanto singolare ma spiegabile da sorgenti calde sotterranee; in quel braccio infatti si notano colonne di bolle d'aria salire in superficie. Sguazziamo divertendoci per un pò nel punto di congiunzione dei due bracci, dove la temperatura è sopportabile.
L'intenzione era poi di proseguire per Butterfly Gorge (descritto come luogo molto verde, popolato da centinaia di farfalle e luogo ideale per nuotare) non tanto distante, ma all'inizio della pista un cancello sbarrava l'ingresso e un cartello avvisava che la pista era chiusa senza altre spiegazioni.
Percorrere la scenic route ha comunque compensato quel disguido. I paesaggi sono in effetti quanto di più selvaggio si possa vedere, vegetazione e speroni rocciosi rossi si alternano in continuazione, la strada è un sottile nastro d'asfalto, in appena sufficienti condizioni, che sale e scende sinuoso mentre il traffico è completamente assente (una sola auto incrociata nei 65 km percorsi sulla scenic). Certo che avere tempo e farsela in bicicletta deve essere veramente divertente. Torniamo infine alla "civiltà" riprendendo la Stuart ad Adelaide River; è quasi sera, ma in poco tempo saremo a Batchelor, porta d'ingresso del Litchfiled National Park, dove ci aspetta la camera già prenotata.
Per descrivere Batchelor bastano quattro parole: 700 abitanti, tanta vegetazione tropicale, un piccolo gruppo di case sparse su alcune larghe strade. Una zona quindi molto tranquilla e rilassante. In questa rarefazione urbanistica, individuare l'hotel dove pernotteremo, il Batchelor Resort, è gioco facile. E' un complesso abbastanza recente, situato su una vasta area verde che comprende anche un camping; anche le camere sono in ottime condizioni, ampie e dotate dei necessari confort.
Partiamo la mattina dopo mentre una nebbia abbastanza consistente, ma non tanto da impedire la visuale, avvolge la natura circostante e ci fa compagnia per alcuni km. finchè i raggi del sole la dissipano. E' una atmosfera strana questa, vegetazione tropicale e nebbia sono un connubio che ha un chè di magico.
Così, non programmate nell'itinerario di base, ci dirigiamo prima a Barramundie Gorge, su una pista non agevole, poi a Gunlom Waterfalls creek.
Lasciata la Kakadu, si imbocca una pista di polverosa sabbia rossa che si srotola, senza eccessive difficoltà, nel bush mentre ai lati gli eucalipti, vegetazione tipica, punteggiano la piana. Ed è proprio lungo la pista che porta a Barramundie Gorge che vediamo decine e decine di giganteschi termitai, alti anche 5 metri! Alla fine della pista, non particolarmente impegnativa e con guado sabbioso, un sentiero facile si inoltra nella folta vegetazione costeggiando, a tratti, le placide acque di un rivolo. L'atmosfera è rilassante, numerosi scorci regalano momenti veramente magici, finchè arriviamo in uno squarcio di foresta dove un placido laghetto di acqua trasparentissima ci accoglie invitante: come rifiutare?
Lasciata a malincuore la piacevole oasi, ritorniamo sui nostri passi per dirigerci a Gunlom Waterfall creek. Per quanto sia ben più distante dalla Highway rispetto a Barramundie Gorge, il luogo è abbastanza affollato (significato: erano presenti forse una quindicina di persone!) e con alcune costruzioni. Dopo poche centinaia di metri a piedi, il sentiero sbocca su una spiaggetta (è tale perchè siamo in inverno) di sabbia che si cala in un laghetto di discrete dimensioni. C'è una folta vegetazione ai bordi, i canneti ed alcune palme fanno da cornice ad una tavola liscia e trasparente di acqua color smeraldo. A chiudere il lago, di fronte a noi, un possente sperone di roccia scura a strapiombo, solcato da due piccole cascatelle che escono dalla sommità, 50 metri più in alto, alimentando debolmente il lago. In estate deve essere uno spettacolo grandioso.
Ripresa la strada principale, sulla quale il traffico continua ad essere pressochè inesistente, si prosegue finchè si incrocia a Pine Creek la Stuart Highway, la grande arteria che collega nord e sud dell'Australia. Manca meno di un'ora per giungere a Katherine, che attraverseremo per dirigerci alla farm dove ci aspettano le camere prenotate (e dove arriveremo dopo il tramonto); siamo sulla strada che porta al Nitmiluk (Katherine Gorge) National Park, prossima meta programmata per l'indomani. E' una fattoria, 3 camere (ottimamente arredate) per gli ospiti e un grande prato recintato dove pascolano placidi alcuni asini, da cui il nome di Donkey Camp. Ambiente estremamente cordiale e famigliare, Peter e Julie (marito e moglie) si fanno in quattro per farci sentire a nostro agio; nell'ampio parco, sotto un cielo nero e limpido, punteggiato da stelle luminose, con 4 candele sul tavolo, chiudiamo la giornata facendo man bassa di un abbondante barbecue di carni e verdure varie preparato sul momento da Peter mentre Julie porta la torta: home made, ci tiene a dirlo, e si sente. Peccato fermarsi per una sola notte, gli ingredienti per un piacevole soggiorno c'erano tutti. Altamente consigliato per chi passa da queste parti.
Oggi siamo nuovamente in piedi alle 6.30. Dopo una ricca colazione ci avviamo - mentre Peter e Julie ci accompagnano con lo sguardo salutandoci - verso il Nitmiluk National Park per la crociera precedentemente prenotata per le 9 di mattino.
La crociera è un'esperienza veramente emozionante e spettacolare. Il battello risale lentamente la corrente del placido Katherine River, un fiume costretto fra alte e strette gole rocciose di colorazione rossastra a tratti coperte da piccole macchie di vegetazione abbarbicata alle rocce; qua è la spicchi di sabbia sono la meta di alcuni turisti che hanno preferito l'esperienza in canoa. Il capitano nonchè accompagnatore non tace un attimo, sicuramente sta descrivendo le origini e la natura di quelle formazioni rocciose ma vallo a capire........ Ad un certo punto si scende, si cammina su un sentiero lungo il Katherine river per circa 1 km per superare una serie di rocce che bloccano la navigazione e per poi risalire su un'altro battello e riprendere la navigazione. Ambiente molto rilassante, piacevole da vedere ed invitante per le nuotate se non fosse per i coccodrilli che - stando ai cartelli e ai locali - potrebbero esserci. Il ritorno non è di minor interesse; i luoghi sono i medesimi dell'andata ma complice la diversa 'illuminazione solare, le rocce assumono colori a volte più intensi, a volte più tenui; i giochi di luci, ombre e riflessi sull'acqua delle ripide pareti sembrano quasi dipinti da una mano sapiente anzi, lo sono: la mano della natura nei millenni di erosione.
Lasciamo l'imbarcazione e, percorso il breve tratto che ci separa da Katherine, riprendiamo la Stuart verso nord siamo diretti a Batchelor, in prossimità del Litchfield National Park. Si percorrono velocemente i 90 km che ci separano da Pine Creek e si va oltre, mentre sull'altra corsia qualche gigante della strada tira il suo lunghissimo carico in una lunga corsa forse verso il profondo sud: sono i famosi road train, motrici con 3, 4 a volte 5 rimorchi. Superarli non è facile, oltre alla necessaria visibilità occorre avere davanti un lungo tratto senza traffico in senso contrario in quanto vanno veloci e i sorpassi sono luuuuuunghi.
Ben presto lasceremo la Stuart Highway in quanto avevamo deciso di non fare tutto il tragitto sulla arteria più veloce e corta di percorrere la old Stuart, il tracciato originario prima che venisse costruita quello oggi esistente, che scorre sulle colline ad ovest e lungo la quale avevamo fissato due mete. Prendiamo quindi la scenic route (è così che viene chiamata la Old Stuart e se lo merita tutto) poco dopo Hayes Creek, con destinazione successiva Douglas Hot Spring Nature Park su una pista che attraversa una landa gialla, piatta e arida, dove la vegetazione predominante è la spiniflex (erba secca e filiforme) di cui vanno ghiotti i canguri che continuiamo a non vedere; in compenso ci sono mandrie di magre vacche al pascolo. La meta, abbandonata la jeep, la si raggiunge con quattro passi a piedi; è una zona particolare del Douglas River: la vegetazione e le lingue di sabbia fanno da argine a due bracci di acqua che si congiungono proprio in questo punto. Che c'è di così interessante da andarci? Beh, in un ramo scorre acqua talmente calda che quasi non si riesce a tenere i piedi a mollo, mentre nell'altro braccio l'acqua è gelida! Alquanto singolare ma spiegabile da sorgenti calde sotterranee; in quel braccio infatti si notano colonne di bolle d'aria salire in superficie. Sguazziamo divertendoci per un pò nel punto di congiunzione dei due bracci, dove la temperatura è sopportabile.
L'intenzione era poi di proseguire per Butterfly Gorge (descritto come luogo molto verde, popolato da centinaia di farfalle e luogo ideale per nuotare) non tanto distante, ma all'inizio della pista un cancello sbarrava l'ingresso e un cartello avvisava che la pista era chiusa senza altre spiegazioni.
Percorrere la scenic route ha comunque compensato quel disguido. I paesaggi sono in effetti quanto di più selvaggio si possa vedere, vegetazione e speroni rocciosi rossi si alternano in continuazione, la strada è un sottile nastro d'asfalto, in appena sufficienti condizioni, che sale e scende sinuoso mentre il traffico è completamente assente (una sola auto incrociata nei 65 km percorsi sulla scenic). Certo che avere tempo e farsela in bicicletta deve essere veramente divertente. Torniamo infine alla "civiltà" riprendendo la Stuart ad Adelaide River; è quasi sera, ma in poco tempo saremo a Batchelor, porta d'ingresso del Litchfiled National Park, dove ci aspetta la camera già prenotata.
Per descrivere Batchelor bastano quattro parole: 700 abitanti, tanta vegetazione tropicale, un piccolo gruppo di case sparse su alcune larghe strade. Una zona quindi molto tranquilla e rilassante. In questa rarefazione urbanistica, individuare l'hotel dove pernotteremo, il Batchelor Resort, è gioco facile. E' un complesso abbastanza recente, situato su una vasta area verde che comprende anche un camping; anche le camere sono in ottime condizioni, ampie e dotate dei necessari confort.
Partiamo la mattina dopo mentre una nebbia abbastanza consistente, ma non tanto da impedire la visuale, avvolge la natura circostante e ci fa compagnia per alcuni km. finchè i raggi del sole la dissipano. E' una atmosfera strana questa, vegetazione tropicale e nebbia sono un connubio che ha un chè di magico.
La prima sosta, dopo una quindicina di km è per una situazione a dir poco singolare: su un lato della strada sono insediate decine di termitai. Fin qui nulla di strano, ciò che lascia stupidi è come sono fatti e come sono messi: prima di tutto c'è da dire che sono completamente diversi da quelli visti nel Kakadu, quelli erano affusolati e alti anche 5 metri, questi sono piatti ed assomigliano a delle gigantesche pietre tombali (anche il loro colore grigio aiuta nell'immaginarseli tali); poi hanno una particolarità: sono tutti ordinatamente disposti, in fila, da nord a sud, tutti nella stessa direzione; sembra proprio di essere in un cimitero! Il luogo è noto come Magnetic Termite Mounds e i nidi sono costruiti da una particolare razza, le termiti bussola. C'è una logica in questa disposizione: la bassa esposizione al sole e quindi il mantenimento di una temperatura interna costante e mai troppo calda o fredda. Intelligenti, eh?
Circa 6 km più avanti si trova la deviazione, asfaltata, per Buley Rockhole, dove un breve sentiero porta ad una serie di cascatelle e belle piscine naturali, ideali per fare il bagno, scavate nella rossa roccia e attorniate dalla vegetazione verde. Il luogo è piacevole ma abbastanza affollato, dobbiamo abituarci: Darwin è relativamente lontano (circa 100 km di ottima strada) e, in effetti, le opportunità che offre il Litchfield ne fanno meta non solo di turisti stranieri ma anche di residenti. Il luogo successivo, ad appena 2 km., è ugualmente molto affollato ma ancora più spettacolare: siamo a Florence Fall. Arrivarci è un pò più impegnativo, si deve percorrere un sentiero, immerso nella folta vegetazione, e scendere 150 scalini per arrivare alla base della gola (non visibile dal tanto che è stretta e ricca di piante); fortunatamente l'umidità è stemperata dalla brezza che riesce a tratti a farsi sentire. Ma l'arrivo vale la fatica: la foresta si apre improvvisamente per lasciar spazio ad un laghetto color smeraldo racchiuso fra pareti di roccia a strapiombo, due cascate alte 20 o forse 30 metri ne costituiscono la fonte di alimentazione. Nonostante l'acqua fosse fredda, vi stavano nuotando almeno una trentina di persone.
Da scenari idilliaci a scenari spettrali e cupi. Questo è l'aspetto che ci accoglie e si coglie di Lost City, raggiungibile solo in 4WD su una pista di 10 km. nella boscaglia. Nonostante il nome possa far pensare alle rovine di una città distrutta dall'abbandono e dal tempo, in realtà si tratta di alti pilastri di roccia annerita, di formazioni rocciose accatastate e disposte in modo tale da apparire, in effetti, come ruderi di pareti e di portali misteriosi. Il fatto poi che il luogo fosse completamente deserto e silenzioso contribuiva a creare un clima surreale. Ci addentriamo fra queste rovine, "affacciandoci" ad una finestra e "varcando" alcune porte, in un percorso che quasi potrebbe rappresentare la via principale di questo villaggio della fantasia.
Tornati sull'asfalto, dopo una ventina di km. si arriva alla deviazione che porta a Wangi Falls, il luogo più spettacolare del Litchfield (almeno, fra quelli che abbiamo visto). Un ampio laghetto dalle trasparenti acque è alimentato da due cascate che scendono da almeno 50 metri di altezza, da uno sperone roccioso e rossiccio che contorna ad arco una buona metà dello specchio d'acqua; l'altra metà è fatta di vegetazione tropicale e palme. Anche qui i soliti turisti a mollo. Decidiamo di salire anche il sentiero che porta alla sommità: un'ora, un'ora e mezzo di cammino abbastanza faticoso, fatto nella vegetazione folta, per giungere in cima dove, oltre al torrente che alimenta le cascate viste da sotto, godiamo di una vista impareggiabile con l'occhio che può spaziare su tutta la foresta monsonica circostante.
Lasciato Wangi Falls e percorsi una decina di km., l'asfalto è sostituito da una pista sterrata a tratti sabbiosa a tratti dura e sconnessa ma sempre molto polverosa. Di una polvere rossa e fine che si alza a nuvola al passaggio della jeep. E' un contrasto che colpisce in confronto al verde della vegetazione e sarà così per quasi 60 km., percorsi in assoluta solitudine e attraversando guadi secchi, finchè incrociamo la Cox Highway, ampia e scorrevole strada che ci riporterà sulla Stuart. Lungo la strada facciamo sosta a Berry Springs Nature Park per breve tempo perchè di minor attrattiva, sotto un certo punto di vista. Questo parco naturale è un'immensa area picnic attrezzata con tavoli e barbecue, un paio di chioschi e gettate di cemento per la discesa in acqua dei bagnanti, nel Berry River. Sicuramente è rilassante e piacevole passarci un pomeriggio, ma nulla a che vedere con quanto ci è passato davanti agli occhi in questa giornata nel Litchfield.
Arriviamo a Darwin che è già buio ma prima di passare la notte all'albergo vicino all'aeroporto, cogliamo l'occasione - essendo il giorno giusto - per fare una puntata al Mindil Beach Night Market. E' una specie di festa mercato che si tiene 2 volte la settimana sulla strada che costeggia la spiaggia di Mindil, nella zona ovest della città. Giostre, chioschi con cibo dalle più diverse provenienze etniche, dolci, bevande ma in modo particolare bancarelle di artigianato, souvenir, bigiotteria orientale e occidentale, stoffe coloratissime e.... massaggi! Sì, ci sono pure i centri fitness di massaggiatori ambulanti.
Si conclude così, con una cena al mercato di Mindil Beach, affollato di persone della più diversa provenienza, fra i mille richiami dei venditori, il nostro soggiorno nel Top End. Domani mattina ci aspetta il trasferimento aereo ad Alice Springs e lì comincia un' altra avventura, ma quello è un'altro film: dalle verdi alture del Kakadu e del Litchfield alle rosse distese desertiche del Red Centre con i misteriosi ed antichi monoliti di Uluru e Kata Tjuta, simboli religiosi di altissimo valore per i nativi e di indubbio interesse turistico.
Da scenari idilliaci a scenari spettrali e cupi. Questo è l'aspetto che ci accoglie e si coglie di Lost City, raggiungibile solo in 4WD su una pista di 10 km. nella boscaglia. Nonostante il nome possa far pensare alle rovine di una città distrutta dall'abbandono e dal tempo, in realtà si tratta di alti pilastri di roccia annerita, di formazioni rocciose accatastate e disposte in modo tale da apparire, in effetti, come ruderi di pareti e di portali misteriosi. Il fatto poi che il luogo fosse completamente deserto e silenzioso contribuiva a creare un clima surreale. Ci addentriamo fra queste rovine, "affacciandoci" ad una finestra e "varcando" alcune porte, in un percorso che quasi potrebbe rappresentare la via principale di questo villaggio della fantasia.
Tornati sull'asfalto, dopo una ventina di km. si arriva alla deviazione che porta a Wangi Falls, il luogo più spettacolare del Litchfield (almeno, fra quelli che abbiamo visto). Un ampio laghetto dalle trasparenti acque è alimentato da due cascate che scendono da almeno 50 metri di altezza, da uno sperone roccioso e rossiccio che contorna ad arco una buona metà dello specchio d'acqua; l'altra metà è fatta di vegetazione tropicale e palme. Anche qui i soliti turisti a mollo. Decidiamo di salire anche il sentiero che porta alla sommità: un'ora, un'ora e mezzo di cammino abbastanza faticoso, fatto nella vegetazione folta, per giungere in cima dove, oltre al torrente che alimenta le cascate viste da sotto, godiamo di una vista impareggiabile con l'occhio che può spaziare su tutta la foresta monsonica circostante.
Lasciato Wangi Falls e percorsi una decina di km., l'asfalto è sostituito da una pista sterrata a tratti sabbiosa a tratti dura e sconnessa ma sempre molto polverosa. Di una polvere rossa e fine che si alza a nuvola al passaggio della jeep. E' un contrasto che colpisce in confronto al verde della vegetazione e sarà così per quasi 60 km., percorsi in assoluta solitudine e attraversando guadi secchi, finchè incrociamo la Cox Highway, ampia e scorrevole strada che ci riporterà sulla Stuart. Lungo la strada facciamo sosta a Berry Springs Nature Park per breve tempo perchè di minor attrattiva, sotto un certo punto di vista. Questo parco naturale è un'immensa area picnic attrezzata con tavoli e barbecue, un paio di chioschi e gettate di cemento per la discesa in acqua dei bagnanti, nel Berry River. Sicuramente è rilassante e piacevole passarci un pomeriggio, ma nulla a che vedere con quanto ci è passato davanti agli occhi in questa giornata nel Litchfield.
Arriviamo a Darwin che è già buio ma prima di passare la notte all'albergo vicino all'aeroporto, cogliamo l'occasione - essendo il giorno giusto - per fare una puntata al Mindil Beach Night Market. E' una specie di festa mercato che si tiene 2 volte la settimana sulla strada che costeggia la spiaggia di Mindil, nella zona ovest della città. Giostre, chioschi con cibo dalle più diverse provenienze etniche, dolci, bevande ma in modo particolare bancarelle di artigianato, souvenir, bigiotteria orientale e occidentale, stoffe coloratissime e.... massaggi! Sì, ci sono pure i centri fitness di massaggiatori ambulanti.
Si conclude così, con una cena al mercato di Mindil Beach, affollato di persone della più diversa provenienza, fra i mille richiami dei venditori, il nostro soggiorno nel Top End. Domani mattina ci aspetta il trasferimento aereo ad Alice Springs e lì comincia un' altra avventura, ma quello è un'altro film: dalle verdi alture del Kakadu e del Litchfield alle rosse distese desertiche del Red Centre con i misteriosi ed antichi monoliti di Uluru e Kata Tjuta, simboli religiosi di altissimo valore per i nativi e di indubbio interesse turistico.