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Il viaggio verso il Sudan

Sudan, la  Plasmodium falciparum  dei subacquei
Un soggiorno in certi Paesi, lo sappiamo tutti, può comportare  conseguenze e strascichi  seri senza peraltro voler pensare al peggio; eventualità, queste, sempre messe in conto dal viaggiatore previdente che si premunisce adeguatamente e per tempo. Ci sono tuttavia malattie che si insinuano subdolamente, piano piano,  che si manifestano solo al ritorno quando tutti si è portati a pensare di essere ormai fuori dai rischi. Una, in particolare, ha un altissimo tasso di infettività e colpisce pressoché tutti coloro i quali affrontano un certo tipo di viaggio e in un certo Paese e fra questi viaggi è compresa anche la vacanza sub in Sudan.


Come agisce e che sintomi ha?
Appena arrivati nel luogo di  destinazione questo virus è già lì in agguato che vi aspetta al gate degli arrivi insieme alle guardie armate;  prende possesso del malcapitato in assoluto silenzio. Non si avverte alcun disagio, anzi, si inizia a percepire una sorta di eccitazione che si tende ad attribuire al nuovo contesto nel quale ci si ritrova.  Ma l’animaletto lavora, lavora, l’infezione mano a mano si estende dal corpo alla mente,  agisce lentamente;  in questo lasso di tempo aumenta il senso di benessere, di appagamento, di soddisfazione: sono solo le mentite spoglie del virus che fa il suo sporco lavoro per esplodere in tutta la sua tossicità dopo un periodo di incubazione che di solito dura 7-8 giorni.
Una volta che la malattia viene riconosciuta è tardi per correre ai ripari, non esistono rimedi anzi uno sì, ma ve ne parlo più avanti.

Quali fasi seguono dopo l’incubazione?
A seconda del soggetto colpito, dalla sua sensibilità, possiamo avere una forma tardiva che cessa i suoi effetti liberando spontaneamente l’ “infettato” dopo circa un paio di settimane (caso assai raro), una forma terzana (va in recrudescenza ogni 3-4 giorni fin che morte non vi separi) con la quale si può convivere anche se ogni volta è un nuovo disagio, per arrivare alla forma invasiva che è la peggiore di tutte.  Questa è la forma peggiore,  esiste una sola terapia conosciuta, è assai costosa perché va perpetuata nel tempo e dalla cui sperimentazione non si è ancora capito se poi, alla fine, libera definitivamente il povero viaggiatore dal Plasmodium falciparum del subacqueo.   

 Vabbeh, direte voi, ma in cosa consiste questa terapia che, anche se costosa,  pare promettere la pace del subacqueo colto in Sudan da questa infezione? Semplice: consiste nel ritornarci, periodicamente e regolarmente!  
“Naaaaa....! Che corbellerie sono queste?”  Mi pare di sentirvi……  Sì, certo, perché sto parlando (sveglia!!!!) della malaria (Plasmodium falciparum
) sudanese del subacqueo, quella strana malattia che colpisce pressoché tutti quelli che passano un periodo ad immergersi in queste acque. Una volta tornati (perché fin che vi immergete là, il virus non si manifesta), statene pur sicuri che una forma tardiva (riservata ai  duri e puri), terzana o invasiva che sia, ve la beccate!

 [Nota: sebbene finanziariamente non testato, pare che anche in caso di forma terzana sia altamente consigliata la terapia del ritorno in Sudan; in questo caso  la crociera può essere assunta in forma light, a cadenza biennale].


Dopo le necessarie avvertenze sui rischi che si corrono nell’affrontare una crociera subacquea in Sudan,  vedrò di intontirvi sulle cause che portano ad infettarsi e ad elencare, come tentava di fare l’insegnante di religione delle scuole medie,  le cose buone (tante) e le cose cattive (quali?) di quella settimana. Lui non è riuscito a convincermi, in compenso io la malaria sudanese l’ho presa ugualmente!  


13 febbraio 2009, Milano Malpensa.
Al gate Egyptair  regna l’apoteosi dell’indecisione. Partenti che battono i denti in maglietta stile 15 agosto, altri imbottiti al punto di sembrare pinguini in trasferta siberiana mentre quelli che più furbi non si può sono vestiti a cipolla con entrambe le cose…….  
Decolliamo puntuali sotto un fresco sole pomeridiano e invernale, da lì a poche ore faremo tappa al Cairo per un fast food a base di piramidi-sfinge-cammelli-tu cumprà-senno-che-ce-sto-a-fà prima del grande salto nel mare blu ma chiamato Rosso.

E’ sempre il 13 febbraio ma siamo al Cairo.

L’hotel Novotel è proprio di fronte all’aeroporto, potremmo quasi andarci a piedi se non fosse che il folletto africano che ci accoglie all’arrivo ha già provveduto a recapitarci un mezzo di trasporto che definire lussuoso è riduttivo in confronto a ciò che rotola per strada sotto ai nostri occhi.
Appena arrivati veniamo subito smentiti sulla proverbiale efficienza e produttività africana. Non per niente, qui, hanno provato a resistere in tanti dai romani ai bizantini, agli arabi, per finire con i flemmatici inglesi ma tutti se ne fuggirono a gambe levate dopo aver assaggiato la maniacale precisione egiziana.
Morale: nel breve tragitto (questione di centesimi di millimetro) che separava la penna dal foglio presenze da firmare in stile libro paga da minatore, avevamo: a) perso 2 compagni di viaggio, b) in compenso l’ospitalità egiziana ce ne aveva dato due nuovi, evidentemente avanzati da altre sistemazioni, c) un altro dei nostri si è visto cambiare cognome senza passare dall’anagrafe e nemmeno dal Via.
Fortunatamente il simpatico  folletto egiziano (che, impareremo, ci starà alle calcagna finchè non avrà incassato la mancia)  gonfiando il petto e gesticolando come una danzatrice del ventre riesce a riportare l’ordine e a ridare l’identità perduta agli smarriti. Durante la notte si narrò che invocò Aladino: i quaranta ladroni di identità dietro al banco non poterono fare a meno di assoggettarsi al suo volere…..

Oggi è il 14 febbraio e siamo ancora al Cairo.

La mattinata inizia con un rigenerante bagno ai sali di petrolio gentilmente offerti da una mandria strombazzante di ferraglia che nessuno capisce come mai non sia ancora iscritta al registro delle auto d’epoca. Dopo decine di minuti di apnea immersi in questo liquido gas, la carrozza reale ci deposita ai piedi del triangolo di Giza per una mattinata di sana attività sportiva all’aperto (ndr.: Giza, nota palestra per turisti dove si  pratica un particolare tipo di ginnastica presciistica: lo slalom fra le cacche di cammello, rincorsi da vocianti gianduiotti incartati in taffetani).

Una signora del luogo dalla faccia serafica e impenetrabile (pare si chiamasse Sfinge) anche per le rughe che negli anni le hanno incorniciato i lineamenti, ci osserva dall’alto al basso. Sembra quasi divertirsi ad osservare i poveri latticini europei  che cercano di sfuggire zampettando a rana fra i pali di sterco e i taffetani animati.
I pochi allenati arrivano al traguardo integri ma stremati; altri, dopo aver girovagato naso all'insù (ndr.: fra poco ne vedremo le conseguenze!) indifferenti alle piramidi ma rapiti dalla sensuali forme dei  pelosi quadrupedi e dai segreti nascosti nelle sottane maschili, si ritrovano assediati in una tomba egizia  di  seconda mano da incazzatissimi locali violati nelle recondità, prima di ritrovare faticosamente il gruppo a cui chiedere protezione.
A due di questi andò anche peggio: pur salvandosi dalle gobbe cammelliere, subirono il magnetico richiamo degli sterco-pali, complice l'amore di entrambi per gli animali (nota: in patria,  di uno dei due si narra che la sera nuoti in piscina con le galline e dell'altro che canti la ninna nanna al cavallo). Arrivando con passo “largo”,  faccia sofferente e schifata dall'essenza emanata, furono relegati dal gruppo sul tetto della carrozza fino alla seguente tappa del mercato vecchio.

Nel tardo pomeriggio  il gruppo, previa accurata perquisizione intima, venne quindi imbarcato (sempre sotto l’occhio vigile del folletto africano che ci accolse all'arrivo) sul volo che da lì a un paio d’ore sarebbe atterrato a Port Sudan in un clima caldo umido, accentuato da una leggera pioggia passeggera, che si abbatterà come un pesante maglio sul gruppo delle rane parmigiane.
Con l’ultimo giro di dadi che ci avrebbe portato alla meta, la motonave Felicidad II,  incappammo nella penalità delle formalità aeroportuali sudanesi, con l’ennesima perquisizione intima alla vana ricerca di prelibatezze nostrane non gradite ai palati locali.

Ma sono intrusioni, queste, che subimmo di buon grado, perché il mar Rosso è lì, perché domani comincia l’avventura; ma questa è un’altra storia, un’ altro capitolo di un libro di viaggi il cui epilogo è ben lungi dall’essere scritto.




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